Per la neutralità dello Stato: note a margine del “Discorso alla Città” dell’arcivescovo di Milano Angelo Scola

Come resistere alla tentazione di non mettere il mio piccolo granellino…sul tradizionale “Discorso alla Città” dell’arcivescovo di Milano Angelo Scola: in sintesi la tesi che il prelato annuncia è quella che lo Stato non dovrebbe essere laico, neutrale in tema religioso perchè, così facendo, diffonderebbe una cultura lontana dalla spiritualità e dal trascendente; dice anche che uno Stato equidistante dalle fedi è legittimo, ma limita la libertà religiosa perchè emargina gli uomini di fede dall’ambito pubblico: infatti se  lo Stato è neutrale  imporrebbe vincoli che aumenterebbero i contrasti a base religiosa.  A me pare che sia esattamente il contrario: è proprio di un vero stato laico procurare che ognuno dei suoi figli possa essere libero di professare la sua fede se ce l’ha o di non professare alcuna fede se non ce l’ha, e far sì, inoltre, che entrambe le categorie possano collaborare e  vivere nel rispetto reciproco aiutandosi gli uni gli altri fraternamente.
Lancia poi il monito ai cristiani di vivere la dimensione pubblica della loro fede. Su questo mi trovo totalmente d’accordo: quale meraviglia se i cristiani manifestassero pubblicamente con  parole ed opere  la loro fede, tutti ne avremmo un beneficio, in primis loro stessi, perchè fare il bene prima di tutto fa bene a chi lo fa; ma, forse, non era proprio quello a cui l’arcivescovo si riferiva, forse  intendeva che i cristiani manifestassero pubblicamente la loro fede nel senso di esprimersi  sui temi etici; vorrei rassicurarlo, se non se ne fosse accorto, che questa seconda parte sia stata ampiamente manifestata in più riprese e mi sembra anche che questo Stato, che a mio parere sta ancora studiando per diventare  “laico”, e proprio per questo secondo lui, non glielo abbia mai impedito. Quindi è esattamente il contrario di quello che afferma. Credo che testimoniare pubblicamente la propria fede significhi poter liberamente dire “io sono credente, cattolico (perchè dire cristiano è impreciso se ci si esprime su temi etici per i quali non tutti i cristiani la pensano allo stesso modo come, per es., sul fine vita, sulla omosessualità, sull’aborto ecc) la penso così e vivo la mia fede così”. Credo che sia quello che da sempre tutta la comunità civile si aspetta, di sentirci tutti uniti, finalmente, per raggiungere il bene comune, che non può essere che il bene di tutti, pur nelle diversità di pensiero. Quello che invece appare, sono l’idiosicrasia e l’intolleranza del cattolicesimo verso il diverso da sé, e la pretesa di avere un maggiore spazio nella “tribuna politica sociale” come se fossero un partito di maggioranza: uno stato laico dovrebbe rappresentare tutti dando a tutti lo stesso spazio. Paradossalmente, le minoranze dovrebbero avere più spazio delle maggioranze le quali, proprio perchè tali, non ne hanno bisogno, avendo già pienamente occupato il loro.  Dunque si potrebbe dire che, se per “manifestare pubblicamente la propria fede” l’arcivescovo auspica di poter continuare, come han sempre giustamente fatto, a pronunciarsi su temi etici, la cosa non solo è auspicabile ma meritoria e serve ad infervorare il dibattito e quindi il dialogo, se invece intende che si imponga di perseguire gli obiettivi dei cattolici perchè solo loro conoscono la vera via, allora non ci si può incontrare se non in un dialogo civile che, temo, difficilmente loro sapranno sostenere. Pisapia, ovviamente interpellato sulla questione, ha risposto che lo Stato deve garantire la libertà di ognuno dei suoi cittadini ad esercitare i propri diritti senza discriminazioni. Come dargli torto?